L’assistenza al disabile comprende le attività di assistenza diretta allo stesso e il disbrigo delle pratiche amministrative e burocratiche che da solo non può svolgere, da queste esula quindi il disbrigo di faccende personali.
La Cassazione con l’ordinanza n. 16973/2022 (sotto allegata) ribadisce un importante concetto in materia di permessi 104. Il lavoratore che beneficia dei permessi della 104 per assistere, in questo caso, la madre disabile, abusa di tale diritto con conseguenze rilevanti dal punto di vista disciplinare idonee a incrinare la fiducia che deve sussistere tra datore e dipendente, se lo utilizza per attività che esulano dall’assistenza del familiare bisognoso.
La vicenda processuale
Il Tribunale ritiene legittimo il licenziamento irrogato da una s.p.a a un suo dipendente per abuso dei permessi previsti dalla 104 per assistere il familiare disabile. La Corte ribalta la decisione ritenendolo illegittimo, anche se ritiene raggiunta la prova in relazione all’abuso dei permessi in riferimento a 4 giornate in particolare. La condotta del dipendente tuttavia non viene ritenuta dalla Corte di gravità tale da incrinare il rapporto fiduciario con la società datrice.
Per la Corte infatti l’utilizzo di 4 ore e mezzo su 32 di permessi 104, per il disbrigo di esigenze private, anche se condotta con rilievo disciplinare, non è così grave da dover considerare legittimo il licenziamento. Detto questo la Corte dichiara risolto il rapporto e condanna la società a pagare al dipendente 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale.
L’assistenza al disabile va interpretata in senso ampio
Il dipendente però ricorre in Cassazione sollevando i seguenti motivi:
- con il primo rileva che la Corte erra nel ritenere che tutto il tempo del permesso debba essere occupato nel diretto accudimento del disabile. L’attività di assistenza deve infatti intendersi in senso più ampio;
- con il secondo invece ritiene che il fatto contestato debba ritenersi insussistente dal punto di vista materiale e in relazione all’inesistente gravità.
Non è assistenza sbrigare le proprie faccende personali
La Cassazione però non è in linea con la teoria interpretativa del ricorrente. Gli Ermellini ricordano che secondo l’orientamento della Corte di legittimità “il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che non si avvalga del permesso previsto dal citato art. 33, in coerenza con la funzione dello stesso, ossia l’assistenza del familiare disabile, integra un abuso del diritto in quanto priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente (oltre ad integrare, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale). Questa Corte ha precisato come il permesso di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, sia riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza; ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari.”
Sicuramente l’assistenza al disabile comprende anche il disbrigo di pratiche amministrative e burocratiche per lo stesso. Nel caso di specie però è stato accertato che il dipendente ha fruito di quattro ore e mezzo di permessi riconosciuti per assistere la madre, per attività non ricollegabili in modo assoluto alle necessità della disabile.