La giurisprudenza contabile ha affermato che, in presenza di accertata dolosa o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa (con riferimento ad assenze non giustificate), il danno da risarcire da parte del dipendente alla PA presso la quale presta servizio è quanto meno pari alla spesa sostenuta dall’Amministrazione Pubblica datrice di lavoro per la retribuzione complessivamente erogata a favore dei dipendenti pubblici, fatti salvi comunque gli ulteriori danni che possono essere stati causati nella gestione dei servizi ai quali i predetti dipendenti pubblici erano addetti o preposti (sentenza stessa Sezione n. 22 del 1° marzo 2017). Alla luce del quadro ordinamentale complessivo, l’allontanamento del dipendente dal luogo di lavoro appare giustificato solo dalla presenza di predeterminate esigenze, subordinate ad autorizzazione specifica, ovvero regolamentate dalla contrattazione collettiva, e deve essere, comunque, oggettivamente rilevato e rilevabile (attraverso i sistemi automatizzati, laddove, come nel caso di specie, installati), sia nelle ipotesi in cui il tempo trascorso fuori dall’ufficio debba essere recuperato, sia nei casi contrari, essendo, come più volte specificato, la presenza nel luogo di lavoro il parametro al quale ancorare la retribuzione. Inoltre, sullo specifico aspetto, il D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (come modificato dall’art. 69, del D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione della delega di cui all’art. 7, della legge 4 marzo 2009, n. 15) ha previsto sanzioni disciplinari (art. 55 quater) e penali (art. 55 quinquies) nelle ipotesi in cui il dipendente attesti falsamente la propria presenza in servizio, stabilendo che il medesimo dipendente è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione, nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione (cfr. art. 55 quinquies).
Sentenza n. 145/2024 del 18/07/2024